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  • ONORE ALL’ITALIA CON LA LEGGENDA DEL PIAVE, L’INNO DI MAMELI E IL TRICOLORE SU OGNI BALCONE (IlSole24ORE, 29 dicembre 2010)

    Per celebrare il 150° dell’Unità d’Italia e onorare tutti i martiri e i caduti che sacrificarono le loro vite per il sogno di vederci tutti affratellati, prima di ogni cosa dovremmo tutti esporre sui nostri balconi  il “Tricolore”. Poi, due sono le musiche da eseguire: LA LEGGENDA DEL PIAVE e l’INNO di MAMELI, sono la più pura  espressione di amor patrio nate dai cuori ispirati di tre italiani che seppero trasmettere in quei versi e in quelle musiche un entusiasmo e una passione italiana che, così grandi, non emergono da nessuna altra composizione patriottica. L’ INNO di MAMELI , scritto nel 1847 dal patriota genovese Goffredo Mameli, appena ventenne, e musicato da un altro genovese, il musicista Michele Novaro, è il sacro sigillo dell’unificazione ed è e resterà il “canto di tutti noi italiani”. Il poeta Mameli dedicò tutta la sua giovane vita alla Patria, morì, ucciso dai francesi che assediavano la città di Roma, a soli ventidue anni. Il musicista Novaro, che dal suo inno più famoso non trasse alcun vantaggio economico, morì povero il 21 ottobre 1885. LA LEGGENDA DEL PIAVE, inno di incomparabile bellezza (l’unico candidato degno di prendere il posto dell’Inno di Mameli, caso mai si decidesse di cambiare… musica),  celebra, magicamente, il compiuto percorso unitario della nostra Patria. Scritto e musicato nella notte dal 23 al 24 giugno 1918 da E.A. MARIO, pseudonimo di Giovanni Ermete Gaeta, (Napoli, 1884/1961). Definito dallo storico Aniello Costagliola “il signor tutto della canzone napoletana”, rimarrà un fenomeno unico mai eguagliato da alcuno. Poeta di eccezionale ispirazione e straordinario melodista (componeva le musiche su un vecchio mandolino e sua figlia Bruna, prodigiosa pianista, trascriveva le note sul pentagramma), fu l’ultimo dei “grandi” che fecero di Napoli quella “capitale di arte, cultura e bellezza” amata e ammirata dal mondo intero. E Napoli, poco, pochissimo ha fatto per questo suo eccezionale figlio. Tante sono le sue canzoni conosciute in ogni angolo della terra, successi intramontabili, musiche e poesie che vanno diritte al cuore… e per qualche minuto ti fanno “volare”… e non vedi né “fango” né “mondezza”. Ma questo è tutto un altro discorso. Torniamo all’Inno di E.A. Mario, la sua “canzone” accompagnò e sostenne sui campi di battaglia l’avanzata progressiva e inarrestabile dei nostri soldati che conclusero le sorti della guerra con una disperata ma fulgida vittoria! Il Generale Armando Diaz inviò all’autore il telegramma:” Mario, la vostra Leggenda del Piave al fronte è più di un generale! Unanimemente riconosciuto del tutto apolitico, questo Inno ancora oggi ci commuove, ci esalta e ci fa sentire orgogliosi di essere figli della grande ITALIA!  P.S. Ebbi l’onore e la gioia di conoscere E.A. Mario nel 1953, e fino al 24 giugno del ’61, giorno della sua morte, frequentai la sua nobile casa e la sua splendida famiglia. Nel 1960 mi regalò l’autografo, con dedica, dei versi della LEGGENDA DEL PIAVE. A mia volta, nel 2001, ne ho fatto dono alla Biblioteca Nazionale di Napoli.

    Raffaele Pisani

    (IlSole24ORE, 29 dicembre 2010)

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  • PAPA FRANCESCO NOSTRO

    Papa Francesco che sei in terra

    sia benedetta la tua venuta,

    la tua fede ci conquisti

    e si avveri la tua speranza

    di vederci tutti degni figli di Dio,

    dacci oggi la tua benedizione quotidiana

    e penetra i nostri cuori

    con il sorriso della tolleranza e della comprensione

    così che possiamo perdonarci reciprocamente,

    allontana da noi

    ogni malvagità, corruzione ed egoismo,

    facci tutti portatori di pace e creatori di armonie

    e liberaci da ogni male,

    amen!

    Raffaele Pisani

    ( OGGI, 13 febbraio  2014 )

  • POLITICA E ISTITUZIONI: MANCO IL TEMPO DI AFFEZIONARTI CHE … (L’Unità, 01 marzo 2010)

    Era una mattina d’estate, credo fosse il 1948 o ’49, avevo sette-otto anni. Mio nonno materno, avvocato Paolo Di Bello del Foro di Napoli mi portò con sé a Torre Del Greco, una splendida cittadina alle falde del Vesuvio. Mio nonno possedeva una villetta in campagna, contrada Cavallo, poco distante da una proprietà di Enrico De Nicola. Nonno Paolo era un fraterno amico di De Nicola, primo Presidente della Repubblica. Quella mattina, mio nonno e De Nicola si incontrarono, e mentre parlavano tra di loro, il Presidente mi accarezzò il capo. Ricordo ancora la tenerezza di quel gesto. Chiesi a mio nonno: chi è questo signore? Rispose: è il primo galantuomo d’Italia, è il nostro Presidente… e non approfitta del suo potere. Pensa che paga di tasca propria  i francobolli delle lettere che invia a parenti, amici, estimatori. Sono abituato a non generalizzare mai né a fare di tutta l’erba un fascio! Ma basta questo aneddoto per stabilire in quale baratro è oggi precipitata la nostra classe politica, e la cosa peggiore è che sembra  non ci sia via di scampo. Le “mele marce”,  invece di usare il loro potere per il bene della comunità, lo usano  principalmente per il loro tornaconto e per gli interessi di parenti e di amici. Con un’aggravante: lo fanno con sicumera e tracotanza. Ho settanta anni. Sono stanco e deluso. Non ho il tempo di “affezionarmi” ad una “figura istituzionale”, che all’apparenza è tutta protesa a lavorare onestamente e per il bene pubblico, che te la trovi inquisita per corruzione, favoreggiamento e quant’altro di poco chiaro. Mi sento tradito, umiliato, offeso; arrabbiato nei confronti di una classe politica che, quotidianamente, tradisce l’Italia che si affida, che crede, che lavora onestamente, che opera con amore e con dedizione. Come siamo caduti in basso! Io non voglio più vivere dove comanda il “dio-denaro”. Non voglio più vivere in un territorio dove ogni diritto del cittadino diventa una concessione, dove il potere è arrogante e corrotto, dove il mite è calpestato, l’onesto deriso, il galantuomo imbrogliato! Non voglio più vivere – qualsiasi sia il tempo che mi resta – dove regnano incontrastate la volgarità, la scostumatezza, la sguaiataggine, l’ipocrisia, il malaffare! Esisterà in qualche parte del globo, non dico ” l’isola felice”, ma almeno un posticino dove chi ha speso tutta la sua vita versando il suo pur modesto contributo per migliorare la società, possa trovare i valori dell’educazione, dell’onestà, della correttezza. Dove l’onore vale ancora qualcosa, e non viene barattato per una squallida miserabile mazzetta di vile denaro!

    Raffaele Pisani

    (L’Unità, 01 marzo 2010)

  • PORTERO’ ”LI’” IL PARADISO CHE HO SOGNATO”QUI” (IL MESSAGGERO, 24 ottobre 2011)

    Il Paradiso  esiste.   Non so se io …   ma  ho  tutto  affidato  alla  infinita   misericordia del Signore! Comunque, quando  partirò per la destinazione finale , mi porterò  ” lì ” il paradiso che ho sognato  “qui”.  Un “paradiso” dove l’eleganza dei comportamenti è normalità quotidiana così come lo sono educazione,  gentilezza, cordialità, tolleranza. Dove ogni anima che incontri ti regala un sorriso e ti aiuta se hai bisogno. Un “paradiso” dove  tutto funziona bene perché tutti operano con coscienza. Dove si  “vive” senza egoismi, dove non esistono prevaricazioni, dove nessuno calpesta la dignità di alcuno, dove tutti si prodigano affinché a nessuna villania si permetta di intaccare la divina armonia del creato.  Porterò con me un “paradiso” dove è assolutamente normale compiere il proprio dovere, a prescindere dal compito assegnato a ciascuno di noi. Un  “paradiso” dove i marciapiedi sono dei pedoni e non “proprietà privata” di ristorantini,  bottegucce e auto e moto… dove le strade sono pulite perché gli spazzini lavorano bene e tutti i cittadini si comportano civilmente. Un “paradiso” dove nessuno si permetterà mai di abbattere gli alberi di una strada perché sono di impiccio alla sua attività commerciale; un “paradiso” dove l’autorità costituita controlla, previene, punisce, celermente, ogni oltraggio alla natura, alla città, alle persone oneste. “Lì” mi  porterò il “paradiso” dove, incontrandoci, ci saluteremo tutti, con la stessa innocente dolcezza con cui salutava il protagonista del più tenero film di Vittorio De Sica: “Miracolo a Milano”. “Lì” mi porterò una umanità fatta di galantuomini e di gentildonne. E in più – dato che sono napoletano – mi porterò  la Napoli di “Carosello napoletano”, capolavoro di Ettore Giannini, il film più bello dedicato alla mia città dove ogni scena e ogni episodio sono il più grande inno d’amore dedicato a Napoli. “Lì” mi porterò la città che ho sempre sognato: una terra splendida, senza ferite,  senza malavita,  senza corruzione!

    Raffaele Pisani

    (IL MESSAGGERO, 24 ottobre 2011)

  • POTETE DISTRUGGERE LA CITTA’, NON I MIEI SOGNI (LA SICILIA, 31 marzo 2011)

    Questa lettera è dedicata solo a quei  politici e a quei cittadini di Napoli e di Catania  che invece di essere “stelle splendenti” e lavorare  con amore nell’interesse delle due città, altro non sono che “lampadine fulminate”! A questi io dico: la   vostra indifferenza di amministratori e cittadini ” distratti e inetti”  sta distruggendo queste due  meravigliose terre,  ma i miei sogni di vederle tornare belle e civili, mai e poi mai riuscirete a  distruggerli. E allora, camminando per Napoli e Catania, sogno strade pulite  senza “sorpese” di cani e senza buche; strisce pedonali ravvivate, marciapiedi  pavimentati (riservati ai pedoni  – spesso vedo mamme coi passeggini costrette a  fare pericolosi slalom) e non occupati da motocicli e automobili posteggiate  per proprio comodo a dispregio di ogni principio di educazione e di vivere civile; marciapiedi  sgombri da tavoli, sedie e attrezzature di improvvisati ristorantini, negozietti, officine, ecc.; sogno  palazzi con facciate ripulite; sogno bambini  e genitori che si guardano bene dal buttare cartacce a terra; sogno automobilisti disciplinati; sogno  cittadini che depongono i sacchetti della spazzatura negli appositi cassonetti e “operatori ecologici”  che fanno coscienziosamente il proprio dovere. Sogno, insomma, città  pulite, gli abitanti educati, gli amministratori operosi e solerti… e questi sogni – siatene più che  sicuri – fino a quando vivrò, nessuna scostumatezza, inciviltà, disamore e volgarità  riuscirà mai a  distruggermeli, anche se i destinatari di questa “lettera di dolore” continueranno ad essere niente  altro che “lampadine fulminate” !

    Raffaele Pisani

    (LA SICILIA, 31 marzo 2011)

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  • QUANDO UNA LIBRERIA CHIUDE

    Quando una libreria chiude tutto diventa più triste. Si fa triste la strada, il quartiere, la città. E’ una tristezza che si espande come le onde magnetiche e penetra in ogni cuore coinvolgendo tutta quella parte dell’universo che vive di cultura, d’amore e di pace. Una libreria che chiude ti addolora quasi come quando muore un poeta, quando vedi un albero bruciato, un bambino picchiato, un animale maltrattato, una famiglia che si sfascia, un amico che ti inganna, un figlio ingrato, un uomo affamato, un barbone che dorme su un cartone, il cadavere del clandestino che cercava la libertà. Quando una libreria chiude diventi triste come quando vedi le ingiustizie di quella parte di mondo cattivo che vive soltanto per il dio-denaro, come quando leggi che i vecchi ricoverati in una casa di riposo vengono maltrattati, che quei tali politici hanno rubato, che c’è una gioventù disperatamente in cerca di lavoro mentre ogni giorno fabbriche e industrie chiudono buttando sulla strada migliaia di lavoratori. Quando una libreria chiude è come una bella favola che finisce e ti rendi conto che aumenta sempre di più il numero di coloro che non possono più vivere “felici e contenti”!

    Raffaele Pisani

    ( la Repubblica, 24 ottobre 2013)

  • RICOSTRUIRE LA COSCIENZA PER RICOSTRUIRE “LA CITTA’ DELLA SCIENZA” (L’Espresso, 18 aprile 2013)

    Se i miei concittadini napoletani non si adoperano per ricostruire prima di tutto la coscienza civile e morale, liberandola da volgarità, inettitudine, intrallazzi, corruzione, menefreghismo, ignoranza ecc. vanificheranno tutti gli sforzi per ricostruire una nuova Città dela Scienza. Se coloro che ne hanno facoltà vogliono davvero ridare smalto ad una città che ha tutti i numeri per competere con le grandi capitali devono diventare i nuovi eroi di un nuovo risorgimento. Oggi, nessuno può fare più finta di non vedere, di non sapere. Siamo tutti “adulti” e in grado di discernere il bene dal male. Nessuno di noi ha più scusant! Se si vuole “ricostruire” la “Città della Scienza”, Napoli ha bisogno di eroi, di “stelle splendenti” e non di “lampadine fulminate”!

    (L’Espresso, 18 aprile 2013)

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  • RIFLESSIONI POETICHE SULLA PREGHIERA

    Da semplice scugnizzo nato settantaquattro anni fa in un vicolo di Napoli, un vicolo che è stato la mia scuola e la mia casa, sono spesso assalito da varie domande su alcune nostre preghiere quotidiane che vorrei sottoporre a Papa Francesco, illuminato Pontefice e  santo “rottamatore” di tutto ciò che non appartiene alla Chiesa di Cristo. Perché diciamo nella “Salve Regina”: “esuli figli di Eva”? E perché dire: “in questa valle di lacrime” ? Sono affermazioni che ci portano più a vedere le tristezze della vita e non a cercare e chiedere di godere per le bellezze del Creato e ricercare la Gioia sempre nuova! Nell’Ave Maria mi blocco un po’ quando devo dire “prega per noi peccatori”, mi piacerebbe di più chiedere a Maria: “prega per noi figli tuoi”. Quando recito il “Pater noster” mi sforzo sempre di trovare un’espressione diversa di “non c’indurre in tentazione”, io direi: “non farci indurre in tentazione” oppure “non abbandonarci alla tentazione” perché penso che nessun padre induce in tentazione un figlio, figuriamoci poi il nostro Signore Iddio! Altri dubbi mi assalgono durante la celebrazione della Santa Messa soprattutto al momento della Comunione specie quando viene data l’Ostia Consacrata nelle mani, mani che dovrebbero essere pulite al massimo (come d’altra parte lo sono quelle dell’officiante che prima della Consacrazione le lava) - e che invece hanno poco prima toccato, tra le altre cose, anche i soldi per le offerte! Poi, sempre secondo me, quell’invito “scambiatevi un segno di pace” è un gesto che lascia il tempo che trova, piuttosto direi, con forza: “aprite il vostro cuore alla pace, spalancatelo al perdono, alla comprensione, alla tolleranza”. Concludo rivolgendo un personale appello al nostro straordinario Papa Francesco affinché continui a dare speranza ai milioni di divorziati risposati che sognano di potersi avvicinare all’Eucaristia. “ Signore, non sono degno di partecipare alla tua Mensa, ma dì soltanto una parola ed io sarò salvato”. Tutti noi divorziati risposati vorremmo pronunziare queste splendide parole e farci la Comunione.  Caro Papa Francesco, faccia di tutto affinché questo miracolo si avveri. Ricordi a chi di dovere che Cristo è venuto principalmente per “le pecorelle smarrite”, e noi siamo “pecorelle” che desiderano ardentemente non essere allontanate dall’ovile. Amen!

    Raffaele Pisani

    (IL MATTINO,  17 maggio  2015)

  • Si

    SI

    Si
    chello ch’è stato
    è stato
    pe’ sta’ po’ cu te
    allora
    tutto
    chello ch’è stato
    buono è stato.

  • SUL TRICOLORE IL DISEGNO DELL’ITALIA (Corriere Della Sera, 15 gennaio 2011)

    Per festeggiare il 150esimo dell’Unità d’Italia, si  potrebbe lasciare un  segno tangibile e duraturo: mettere al centro del tricolore il disegno della penisola, sia  per ribadire che dalle Alpi alla Sicilia siamo tutti italiani, sia  per “rinverdire” il senso di  appartenenza alla Patria che da un po’ di tempo viene messo in  discussione da alcuni politici che vorrebbero vanificare  il  sacrificio di tanti martiri che sognavano una nazione  molto diversa dall’ attuale.

    Raffaele Pisani

    (Corriere Della Sera, 15 gennaio 2011)

  • SUPERENALOTTO: META’ DEL JACKPOT PER LE CARCERI (IlSole24ORE, 26 settembre 2010)

    Facciamo così: quando il jackpot supera i cento milioni di euro e non viene centrato dai giocatori, si riduce della metà che verrà destinata a ristrutturare  le carceri dando una più adeguata sistemazione alle celle. Rendere alquanto dignitoso il “soggiorno” dei detenuti è il primo passo da fare per sperare in un eventuale recupero di chi ha sbagliato e sta pagando. Un altro grosso problema che si potrebbe alleviare (e qua non c’entra il superenalotto ma solo il buonsenso), sarebbe quello di dare la giusta importanza agli incontri “privati” dei detenuti con le rispettive mogli. Questo sicuramente allenterebbe di molto le tensioni e contribuirebbe, non poco, a migliorare il tutto.

    Raffaele Pisani

    (IlSole24ORE, 26 settembre 2010)

  • Template features

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    Logo

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  • TRE ” MATERIE ” DA INSEGNARE : EDUCAZIONE, ELEGANZA, AMORE ! (LA SICILIA, 21 febbraio 2011)

    Nella riforma scolastica c’è assoluto bisogno di inserire tre importanti “materie” da fare studiare  sia agli studenti, sia alla stragrande maggioranza degli adulti, in particolare a tutti coloro che ci  rappresentano. Le materie sono: educazione, eleganza, amore. La scostumatezza pare sia pane  quotidiano per molti, giovani e meno giovani. Non parliamo poi della volgarità nell’esprimersi e nei  comportamenti. Pare che il divertimento più di moda sia: insozzare, vandalizzare, distruggere.  Le virtù vincenti: l’arroganza, la prepotenza e la scurrilità.  E’ deprimente. Forse sono i risultati dei “confusi comportamenti” di noi “figli del dopoguerra”  che non abbiamo saputo  “guidare e amministrare bene” i passaggi generazionali;  forse sono le  conseguenze degli esempi, sicuramente non tutti  da imitare, che tanta parte della società “che  conta” propina quotidianamente senza ritegno: corruzione, ruberie varie, immoralità, disservizi ecc.   Certo è che, giorno dopo giorno, precipitiamo sempre di più in un baratro di fango e di  malcostume. Per quanto riguarda l’amore, attenzione, intendo “amore” per tutto ciò che facciamo, e  mi riferisco soprattutto al lavoro. Il professionista, l’impiegato, il politico, il medico,  l’infermiere, l’autista, il commesso, lo spazzino, l’artigiano, l’operaio, tutti, insomma, dovremmo  amarlo veramente il nostro lavoro. Amarlo significa operare bene, con diligenza, con serietà,  onestamente. Solo impegnandoci a “studiare”, ad “apprendere” e ad “applicare”  tutte le regole  di queste tre materie inizieremo il difficile ma necessario cammino per risalire la china e sperare in  una società migliore, per il bene di tutti.

    Raffaele Pisani

    (LA SICILIA, 21 febbraio 2011)

  • Typography

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  • UN VOTO A S. AGATA: MENO “DEVOTO” PIU’ “EDUCATO” (LA SICILIA, 30 gennaio 2012)

    Cara S. Agata,  quest’anno non mi sentirai gridare a squarciagola “cittadini… tutti devoti tutti… viva S. Agata…”,  ma pregherò più in silenzio, con più fede e con un cuore più buono. Quest’anno non mi sgolerò con esagitata enfasi, ma ti sussurrerò orazioni con sincero fervore e con l’animo volto al bene e all’amore verso tutto e tutti. Quest’anno ti offrirò un cero più modesto, ma non ridurrò il Duomo a un bivacco, e la tua “casa” e la tua città, al tuo rientro, non saranno insudiciate da bottiglie, lattine, piatti e bicchieri di plastica, tovaglioli sporchi, residui di arancini, pizzette, panini, “calia” e ogni sorta di sporcizia. Quest’anno tirerò con minore veemenza il cordone della “vara”, ma loderò e darò un senso al tuo martirio diventando migliore, seguendo gli insegnamenti del Cristo che tu hai tanto amato, quel Cristo per cui tu ti facesti martirizzare ma non volesti tradire, quel Cristo a cui offristi la tua verginità  e la tua giovanissima vita e per amor suo perdonasti i carnefici che ti trucidavano. Quest’anno, mia adorata S. Agata, mi vedrai meno esaltato e meno urlante, però diventerò artefice di armonie e mi impegnerò con maggiore determinazione per contribuire a migliorare le disagiate condizioni di coloro che hanno più bisogno. Sarò meno impaziente e farò crescere dentro di me, sempre di più, il desiderio di aiutare gli altri. Sceglierò le cose che davvero sono importanti e non mi farò ingannare da falsi idoli, da cattivi maestri e da fatui sogni. Non avrò pregiudizi nei confronti di chi ha un colore di pelle diverso dalla mia; rispetterò qualsiasi credo religioso, sarò fratello di tutti e sempre disponibile verso colui che avrà bisogno di aiuto. Cara S. Agata,  quest’anno sarò un devoto meno enfatico, ma amerò di più il mio prossimo. Lavorerò con impegno e coscienza, serietà e rettitudine. Soprattutto: lavorerò con amore! Combatterò ogni forma di violenza e di sguaiataggine. Non permetterò che la maleducazione seppellisca questa meravigliosa città. Non sarò più un perdigiorno pigro né un ubriaco notturno. Rispetterò il bene comune e mi adoprerò affinché questo territorio diventi il più possibile civile ordinato e vivibile. Mi comporterò da galantuomo, sempre!  Mi farò portatore di pace e diventerò credente come lo sei stata tu, e amerò la tua Catania come tu da sempre la ami. Rispetterò questa meravigliosa terra che tu da sempre proteggi. Le vorrò bene mantenendola pulita, rispettando i divieti, non commettendo infrazioni e contribuendo con tutte le mie capacità a risolvere  i mille problemi che la affliggono, la deturpano, la umiliano. Questo farò, mia adorata S. Agata, e in questo modo renderò vero onore a te, a Cristo, a tutti i grandi catanesi che hanno costruito la vera grande storia di questa terra. Te lo giuro e ti faccio questo voto, mia dolcissima S. Agata, perché, soltanto così, renderò vero onore alla tua festa e alla nostra splendida, stupenda, bellissima Catania.

    Raffaele Pisani

    (LA SICILIA, 30 gennaio 2012)

  • VI DICO I MOTIVI PER I QUALI NAPOLI MUORE (Italians-Corriere Della Sera, 07 luglio 2011)

    Non intendo fare di “tutta l’erba un fascio”… però, il rapporto tra il napoletano degno e il napoletano biasimevole è di uno a diecimila. Questa è la prima verità. Andando un po’ indietro nel tempo,  ricordo  ben quattro anatemi che hanno segnato, sembra irrimediabilmente il destino della nostra terra, benedetta da Dio e maledetta dagli uomini. Napoli, nel corso della sua storia, ha visto il susseguirsi di numerose dominazioni, alcune più lunghe, altre più brevi. Ci avviciniamo al ’700. Qualcuno dei pochissimi partenopei che decise di non fare più parte di quel popolo sempre pronto e disposto ad applaudire il conquistatore di turno, osservò: “Napule è tale e quale a ‘o franfellicco (bastoncino di zucchero filato), ognuno vene, allicca e se ne va!”  Un altro aggiunse: “Allicca, arronza (arraffa) e se ne va!” Arriviamo al 1886. Salvatore Di Giacomo, il nostro più grande poeta,  scriveva:” La mia fissazione è questa, che Napoli è una città disgraziata, in mano di gente senza ingegno e senza cuore e senza iniziativa. Tutto procede irregolarmente, abbandonato ai peggiori.” Arriviamo a tempi più recenti. Un altro napoletano, in occasione delle elezioni che si svolsero dopo Craxi, scrisse su qualche giornale: “Possiamo cambiare gli uomini al potere, ma non potremo mai cambiare la sete di potere degli uomini.” Arriviamo ai giorni nostri. Un altro napoletano ha classificato politici e uomini di potere di Napoli niente altro che “lampadine fulminate”. E infine, a squarciagola, ha gridato: “Mettiteve scuorno!” (vergognatevi). Ma nessuno ha recepito. Questi sono gli anatemi, e qua solo un esorcista, ma di quelli che veramente hanno la capacità di mettersi sotto i piedi il demonio, schiacciargli la testa e rimandarlo negli inferi, potrebbe tentare in qualche modo di alienare questi malefici. Oggi abbiamo  il nuovo sindaco, Luigi De Magistris,  persona perbene, preparata, onesta, efficiente, entusiasta, un  galantuomo. Riuscirà questo novello condottiero a sconfiggere il “malefico potere occulto” che tanto dolore ha provocato a Napoli? Io penso di no!  Sarei  felicissimo di sbagliarmi, ma ho tutti i motivi per credere che non riuscirà a tirarci fuori da tanto fango. I napoletani di “Napoli mobilissima” si sono quasi del tutto estinti, fagocitati da una massa enorme di maleducati, sguaiati, corrotti, sfaticati. A questo aggiungiamoci la sovrappopolazione, il degrado delle periferie e della città stessa, l’inefficienza dei servizi, l’abusivismo e, soprattutto la cancrena di una volgarità generalizzata, e la frittata è fatta. Una frittata di uova marce che, giorno dopo giorno, la avvelena, la umilia,  la uccide.

    B. Severgnini

    (Italians-Corriere Della Sera, 07 luglio 2011)

  • “LETTERA” a FRANCESCA per “San Valentino 2015”

    Dal sole dell’attico di Posillipo di Napoli vista mare al “due vani” piano terra a Catania … però ho l’amore più grande del mondo!

    Questa è la mia meravigliosa “favola d’amore” che grazie al buon Dio vivo con Francesca e che dedico, con un mondo di auguri di ogni bene, a tutte le coppie dell’universo.

    Non sono giovane, né ricco, né potente, né molto istruito, sono solo  un vecchio scugnizzo nato settantaquattro anni fa in un vicolo di Napoli, e sono felice! E lo sono dal 23 maggio del 1981, una data magica per me, è stato il giorno in cui ho incontrato la donna che mi ha regalato il Paradiso in terra, che ha cancellato dal mio cuore ogni tristezza e dai miei occhi ogni lacrima: Francesca. E questa felicità la coltiviamo e la onoriamo momento per momento applicando una regola semplicissima: “non diamo mai nulla per scontato perché l’amore è una continua conquista!”

    Ci siamo conosciuti il 23 maggio 1981, avevamo entrambi alle spalle un matrimonio fallito. Io abitavo a Napoli, in un attico di Posillipo con panorama sull’intero golfo, lei a Catania. Per nove anni abbiamo fatto “i pendolari dell’amore”. Poi, d’accordo con i miei due figli e i tre di Francesca, nel 1990 mi sono trasferito a Catania e il 28 luglio dello stesso anno ci siamo sposati. Abbiamo cominciato a vivere tutti assieme, pensavamo “appassionatamente”. Ma gli spazi limitati e i ragazzi che crescevano non permettevano a tutti noi di poterci muovere secondo le necessità di ciascuno. Poiché riteniamo che il nostro amore sia stato un vero miracolo e il dono più grande che il Signore potesse farci, abbiamo cercato una qualche soluzione per salvare “capra e cavoli”! Siamo quindi arrivati alla conclusione che avremmo dovuto trovare un “buco” che desse a me la possibilità di “pensare alla poesia” (è il mio grande amore, assieme a quello per Francesca) e agli altri di non sacrificare i loro spazi e le loro esigenze a causa di questo “napoletano a Catania”. Ed ecco un altro dono del Signore: trovo una casetta a trecento metri dalla “casa grande” di Francesca. Quando l’ho vista era un tugurio, umida e con poco sole, ma io l’ho guardata con gli occhi del “dopo” e ne ho fatto con poco e con piccoli accorgimenti il più bel nido d’amore per me e Francesca. E’ una casa di due stanze in un cortile del centro storico di Catania. L’umidità è tenuta a bada da un rivestimento di mattoncini di gesso, di sole… ce n’è molto nel colore giallo delle pareti, nel bianco dei mobili e nella luce delle lampade a led. La quotidianità la viviamo così: a pranzo Francesca si divide tra la “casa grande” ed il lavoro (gestisce con le due figlie una boutique al centro di Catania), io sto nel “nido” con i miei libri, la mia Napoli e la poesia. Spesso la raggiungo in negozio, e questo mi serve anche a condividere altri momenti della nostra quotidianità e ad apprezzare il suo modo sempre positivo di affrontare la vita e le difficoltà. La sera ceniamo e dormiamo sempre assieme, a “casa grande” o nel “nido”, e grazie al buon Dio e a questa geniale “penzata” (scritta in napoletano), il nostro amore non conosce né ruggine né muffa, tutt’altro! E sono già trascorsi circa trentaquattro anni, io ne ho 74, Francesca 71. Ecco i primi tre versi che ho dedicato  a Francesca - e che scrissi su un tovagliolo di carta la sera del 28 giugno del 1981 (eravamo a cena in un ristorantino di Capo Mulini, borgo marinaro vicino Catania) - 

    “ CENETTA A CAPOMULINI”

    ========================

    ‘A luna chiena dint’’o cielo blu,

    a mare, int’’o silenzio, na lampara,

    e tu, goccia d’estate, int’a sti braccia”.

    Sono trascorsi trentaquattro anni, Francesca è sempre la mia “goccia d’estate!”        

    Poi, qualche tempo dopo, ho scritto   

    L’ALBERO TUIO  

    ==============

    Cammina

    sott’’o sole d’austo,

    e curre

    ncopp’’arena cucente,

    e quanno

    nemmeno ‘o mare te darrà frischezza,

    e quanno

    stanca te sentarraie

    e guliosa ‘e cujete,

    viene e reposete

    sott’a chest’ombra,

    io so’ l’albero tuio.

    E ancora:

    NNANZ''O FFUOCO

    ================

    Nnanz''o ffuoco. Mo, parlanno,

    mo mute,

    mo mano int''a mano,

    mo luntano

    ma sempe

    scarfate a' stu ffuoco ch'appena

    tu vide s'allenta

    gravone nuovo subbeto ce miette,

    e io so' cuntento.

    Nnanz''o ffuoco. Mo, redenno

    e mo serie,

    mo carezze, mo niente

    ma sempe

    scarfate 'a stu ffuoco ch'appena

    io veco s'allenta

    gravone nuovo subbeto ce metto,

    e tu si' cuntenta.

    Per “San Valentino”  2015  ho scritto una “lettera d’amore” a mia moglie, la più bella e dolce “carusa” 71enne siciliana di Catania.

    Cara Francesca,

    mettiamo avessi casa vista mare con il Vesuvio, Capri, Ischia e il sole che il giorno intero tutta l’avvolgesse della sua luce ma… non avessi te. Che ne farei di questo panorama mozzafiato che non saprebbe darmi solo un attimo

    dell’emozione che mi regala il tuo volermi bene?

    Mettiamo che il ricamo della luna nelle sue notti magiche di piena mi regalasse trine argento e oro ma… non avessi te, cosa me ne farei di un tale dono che pur così prezioso è destinato a perdere comunque ogni valore se confrontato a tutto ciò che sento quando accarezzo i tuoi capelli bianchi?

    Mettiamo che dal mare mi arrivasse l’intenso e inconfondibile profumo che riempie il petto di un fatato aroma ma… non avessi te, cosa me ne farei di questo balsamo che perde ogni suo pregio  se penso a quanto m’inebria di passione e desiderio quella carnalità  che la tua pelle mi regala, ancora?

    Ecco, io questa lettera ti ho scritto  per dirti che la mia piccola casa con qualche traccia d’umido, e poco sole, e senza vista mare, priva sia dell’argento della luna sia del profumo del mare che non vede, come tu entri, in quel preciso istante, s’illumina d’amore, e al suo confronto nessuna casa al mondo ha eguale luce!

    Il tuo Raffaele

    (Settimanale DIPIU’, 16 febbraio 2015)

  • “Lettera” al PRESIDENTE della REPUBBLICA per la mafia e la corruzione che infangano l’Italia

    Egregio Signor PRESIDENTE,

    innanzitutto Le domando scusa  se questa mia lettera può sembrarLe all’inizio un poco incerta, mi perdoni, sono alquanto confuso, ma spero che alla fine riuscirò a chiarirLe il mio pensiero… mi chiamo Oberdan… no, forse Sciesa… oppure Pisacane, o Filzi, Sauro, Menotti, Battisti… o sono forse uno dei fratelli Bandiera, o uno dei fratelli Cervi, oppure uno dei martiri di Belfiore, o forse sono Caracciolo, o Poerio, o Confalonieri, o un giovane fulminato sulle barricate napoletane del ’48, o Matteotti, o un martire delle Fosse Ardeatine, o un partigiano di Bassano del Grappa impiccato ad un albero… o una delle tante donne degli opposti schieramenti violentata e stuprata… o forse mi chiamo Carlo Alberto  Dalla Chiesa, o Falcone, o Borsellino, o Terranova, o Peppino Impastato, o Rita Atria… o sono un semplice militare di scorta, o un carabiniere, un finanziere, un marinaio, un poliziotto di quelli trucidati da malavitosi senza scrupoli… non so di preciso chi sono, Signor Presidente, so soltanto che nelle mie vene e nel mio cuore sento scorrere il sangue di tanti eroi, di tanti martiri, di tante persone sconosciute e “comuni” che hanno creduto in un’Italia unita, libera, onesta e democratica, e sognando e credendo in questa Italia hanno lottato e hanno sacrificato la loro vita per questi ideali. Ecco chi sono, Signor Presidente, e a nome di tutti La scongiuro, intervenga con tutta la Sua autorevolezza, saggezza e passione politica che hanno radici ben solide nel panorama politico e richiami all’ordine quella piccola (spero) ma tanto pericolosa  genìa che sta creando metastasi nel tessuto “sano” della Nazione, minando alla base le aspettative di quella maggioranza  silenziosa che ancora vuole credere nella politica pulita. Non permetta, Signor Presidente, che la malavita fagociti gli onesti. Non permetta che la loro melma infanghi tutti. Non permetta, Signor Presidente, che questi fuorilegge, schiavi della corruzione e del malaffare, sempre più assetati di sporco denaro e di altrettanto sporco potere, riescano a vanificare l’impegno di tanti e tanti milioni di italiani che quotidianamente, seriamente e con perfetta coscienza, sgobbano e si sacrificano per superare correttamente gli ostacoli che, giorno dopo giorno, si fanno sempre più difficili a causa dell’attuale crisi mondiale. Non permetta, Signor Presidente, che anche una sola goccia del fango prodotto da questi sciagurati possa sporcare l’avvenire, il sorriso e le speranze dei nostri giovani. Non lo permetta, Signor Presidente, non lo permetta!

    Sperando in Lei Le porgo distinti saluti,

    Raffaele Pisani 

    (OGGI,  2 Dicembre 2014)